Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

L'enigma liturgico: la "riforma della riforma"



E' assodato che uno dei punti più importanti del pontificato di Papa Benedetto XVI (ma anche della sua attività da cardinale) è procedere alla cosiddetta “riforma della riforma” del Messale del 1969. Dopo la sua elezione al Soglio Petrino sembrava abbastanza plausibile che il Sommo Pontefice avrebbe proceduto ad una revisione (quantomeno rubricale) dei libri liturgici riformati dopo il Concilio Vaticano II (nota 1). Finora, dopo cinque anni, non si è proceduto in questo senso; è apparso invece chiaro, nel corso del tempo, che l'opera di papa Ratzinger è volta non tanto ad una riforma dei testi, quanto ad un precisa volontà di "convertire" l'ars celebrandi: in altre parole, cambiare lo spirito con cui il celebrante si accosta alla sacra liturgia e la compie. Riscoprire il mistero, la centralità della posizione di Dio, la piccolezza dell'uomo dinanzi al suo Signore, riannodare visibilmente il culto odierno con quello che per secoli la Chiesa ha elevato all'Altissimo: ecco alcuni dei punti cardine, attuati tramite gesti concreti (il Crocifisso al centro dell'altare, la Comunione sulla lingua ed in ginocchio, la cura per la musica liturgica, la bellezza del rito, etc.). Papa Benedetto ha adottato questi comportamenti, ma non li ha imposti: è nondimeno evidente che essi non sono certo prerogativa delle liturgie papali, ma che dovrebbero diffondersi nelle celebrazioni in tutto il globo (pur se non si può dimenticare che effettivamente vi possono essere degli adattamenti – non stravolgimenti – dei riti in luoghi in cui la gestualità o la sensibilità occidentale non è condivisa o compresa).
Al di là delle posizioni liturgiche personali, chiunque abbia a cuore il destino di tante anime di fedeli cattolici, non può che gioire dinanzi ad una prospettiva di recupero della sacralità del culto e di progressivo abbandono di certe pratiche antropocentriche (se non antropolatriche) che, abusivamente, si sono nondimeno diffuse nell'orbe cristiano.
Anche chi ritenga che l'attuale forma straordinaria del rito romano sia intrinsecamente migliore di quella ordinaria può difficilmente pensare come realizzabile un'operazione di pura imposizione del rito tridentino nell'intera Chiesa Cattolica. Si può, mi pare, pensare legittimamente che questo sia un obiettivo da raggiungere, ma non si può non considerare l'impatto che un simile provvedimento avrebbe sulla Chiesa. Credo che chi immagini un atto simile come automaticamente annientatore della crisi nella Chiesa finisca col cadere in un ottimismo poco realistico (fatto salvo che, ovviamente, le vie del Signore non sono le nostre). Per questo un movimento di “tridentinizzazione” (nota 2) della Messale paolino pare possa e debba essere accolto con favore, quantomeno, se proprio si vuole, in un'ottica di transizione.
Acclarato questo, non posso che essere dispiaciuto nel constatare che, da un punto di vista normativo, in Italia un'operazione simile pare di non facile attuazione. Nel 1983, infatti, la Conferenza Episcopale Italiana emanò delle norme (nota 3) in materia liturgica che non sempre si conciliano facilmente con un'ottica di “riforma della riforma” del Messale del 1969.
Già il primo punto, che tratta di “gesti e atteggiamenti”, parla per esempio di inghinocchiarsi, durante la preghiera eucaristica, solo dall'epiclesi all'elevazione del calice: la pratica tradizionale è invece di rimanere inginocchiati per tutta la durata della stessa preghiera eucaristica, che del resto è il momento culminante della Santa Messa, in cui avviene il mirabile mistero della transustanziazione.
Nel prosieguo del documento, al punto 12, una frase lapidaria sembra porre un macigno su un punto alquanto importante della “riforma della riforma”, e cioè quello che riguarda la lingua liturgica. Si afferma infatti che “Nelle Messe celebrate con il popolo si usa la lingua italiana.” In casi particolari (fedeli con lingue diverse o per “vera motivazione”) l'Ordinario può autorizzare l'uso della lingua latina. Da un punto di vista giuridico, quindi, un sacerdote non può celebrare in latino cum populo senza l'autorizzazione del proprio Ordinario.
Ancora, al punto 14, si prescrive che l'altare debba essere unico e versus populum. In casi particolari (sostanzialmente quando vi siano problemi di rilievo artistico del vecchio altare), si concede di poter installare un altare mobile. Da questo punto di vista, l'autorevole esempio del Sommo Pontefice, che ha celebrato nella Cappella Sistina sul vecchio altare coram Deo, rinunciando a quello mobile versus populum, pare essere un elemento alquanto importante discutendo di questo punto. E' comunque chiaro che l'altare versus populum, in sé, non proibisce la celebrazione coram Deo.
Detto in altri termini, voler celebrare in latino, coram Deo, col Messale del servo di Dio Paolo VI e rispettare contemporaneamente le prescrizioni della Cei pare un'operazione che si può definire perlomeno difficoltosa. Mi sembra quindi del tutto auspicabile che, nell'ottica dell'introduzione (che avverrà presumibilmente nei prossimi anni) in Italia della traduzione in lingua vernacolare della III edizione tipica del Messale Romano, si possa procedere pure ad una rivisitazione delle suddette norme: quelle contenute nelle rubriche del Messale Romano paiono, in linea generale, già molto elastiche e quindi non pare necessitino di molti adattamenti.

(nota 1) Si veda ad esempio l'opinione di Vittorio Messori “Una sola cosa sulla quale credo di non sbagliarmi: un intervento rapido drastico sulla liturgia per ridarle stabilità e sacralità.” (Corriere della Sera, 20 aprile 2005).

(nota 2) Con “tridentinizzazione” intendo una riscoperta delle radici più profondamente tradizionali del Messale del 1969 (che pure vi sono, ad un'oggettiva analisi), non certo un'operazione puramente estetica.

(nota 3) Si possono trovare, ad esempio, qui: http://www.celebrare.it/documenti/pnmr/11_frame.htm



sopra, una Celebrazione nella Forma Ordinaria del Rito Romano al London Oratory.

immagini da Corbis, New Liturgical Movement

1 commento:

Nazzareno ha detto...

Mettiamoci UMILMENTE in ginocchio davanti al lavoro dello Spirito Santo nel Concilio Vaticano II e obbediamo in santa pace e serenità senza tormentare la Chiesa di Dio con inutili futili nostalgie.

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