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La cera per l'altare: dall'utilità, al simbolo


Sembra che i primi esempi di uso liturgico delle candele possano essere ricondotti al V secolo dell'era cristiana. Da quel momento in poi l'utilizzo delle medesime è ininterrotto.
Possiamo probabilmente individuare in questa pratica anche un aspetto pratico, cioè quello di illuminare la zona dell'altare, che non sempre è ben illuminato dalla luce solare (nel romanico, per esempio, l'architettura stessa porta a ridurre alquanto gli spazi finestrati, da cui la penombra che avvolgeva – prima dell'utilizzo della luce elettrica – le chiese edificate in detto stile). Questa prospettiva è oggi venuta meno; tuttavia, rimane decisiva l'importanza simbolica dell'uso delle candele. Queste, in genere, sono – o dovrebbero – essere fatte di cera (questa prescrizione è particolarmente sottolineata nella forma extra-ordinaria del rito romano, nota 1). Essa è prodotta dalle api, che sin dall'età protocristiana, sono ritenute simbolo della verginità, dato che si riteneva esse si riproducessero senza bisogno di fecondazione (nota 2). Un vago rimando è rimasto in uno dei testi più antichi della liturgia, l'Exultet della Veglia Pasquale (nota 3).

Ma approfondiamo questi aspetti simbolici affidandoci all'autorevole voce di dom Prosper Guéranger: “Secondo sant'Ivo di Chartres la cera delle candele, formata a partire dal nettare dei fiori dalle api, che l'antichità ha sempre considerato come un simbolo della verginità, significa la verginal carne del divin Bambino, il quale non ha alterato, né col concepimento né con la nascita, l'integrità di Maria. Nella fiamma del cero, il santo Vescovo ci insegna a vedere il simbolo di Cristo che è venuto a illuminare le nostre tenebre. Sant'Anselmo, nelle sue Narrazioni su san Luca ci ha detto che ci sono tre cose da tenere in considerazione nel cero: la cera, lo stoppino e la fiamma. La cera, afferma, opera dell'ape vergine, è la carne di Cristo; lo stoppino, che è posto all'interno, è la [Sua] anima, la fiamma, che brilla nella parte superiore, è la [Sua] divinità.” (nota 4)


(nota 1) Per esempio, nel De Defectibus del Missale Romanum, al cap. X tra i difetti possibili in cui può incorrere il ministro stesso, è indicato “non adsint luminaria cerea”, (non ci siano candele in cera). Il decreto 4147 del 14 dicembre 1904 della Sacra Rituum Congregatio chiarì che per “cera” si doveva intendere cera naturale di api, anche se non è richiesto che tutta la candela sia totalmente (100%) di questo materiale. Cfr. Ludovico Trimeloni, Compendio di liturgia pratica, Milano, Marietti 1820, ristampa 2007, p. 296.
(nota 2) Quest'idea è diffusa già in età romana e richiamata spesso in epoca patristica. Sant'Ambrogio afferma a proposito delle api che “Communis omnibus generatio, integritas quoque corporis virginalis omnibus communis et patrus; quoniam neque inter se sullo concubitu miscentur, nec libidine resolvuntur, nec partus quatiuntur doloribus, et subito maximum filiorum examen emittunt” (Exameron, cap. XXI, 67 in PL 14, 248). In merito, cfr. Brian Stock, The Implications of Literacy: Written Language and Models of Interpretation in the Eleventh and Twelfth Centuries, Princeton, Princeton University Press, 1987, pp. 102-103.
(nota 3) In esso si parla di “[...] ceris, quas in substantiam pretiosæ huius lampadis apis mater eduxit” (cera che l'ape feconda ha prodotto come sostanza per questo cero prezioso).
(nota 4) “Selon saint Ives de Chartres [...] la cire des cierges, formée du suc des fleurs par les abeilles, que l'antiquité a toujours considérées comme un type de la virginité, signifie la chair virginale du divin Enfant, lequel n'a point altéré, dans sa conception ni dans sa naissance, l'intégrité de Marie. Dans la flamme du cierge, le saint Evêque nous apprend à voir le symbole du Christ qui est venu illuminer nos ténèbres. Saint Anselme, dans ses Enarrations sur saint Luc [...] nous dit qu'il y a trois choses à considérer dans le Cierge : la cire, la mèche et la flamme. La cire, dit-il, ouvrage de l'abeille virginale, est la chair du Christ ; la mèche, qui est intérieure, est l'âme ; la flamme, qui brille en la partie supérieure, est la divinité.” (Dom Prosper Guéranger, L'Année liturgique, La purification de la Très Sainte Vierge)

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